Stato sociale, cura della comunità
La crisi innescata dalla pandemia Covid19 sta marcando sempre più le disuguaglianze tra le varie fasce della popolazione.
L’attuale sistema di welfare poteva funzionare fino a 15 anni fa, in un momento economico globale nel quale avevamo un 10% di ricchi, un 10% di poveri (con reddito ISEE sottosoglia) e un 80% di fascia media che stava bene, che poteva tranquillamente provvedere a se stessa e che non aveva alcun bisogno di rivolgersi alle istituzioni per vedere garantita la propria dignità.
Oggi quel mondo non esiste più: abbiamo almeno il 35% della popolazione che è in “fascia grigia”, cioè non è in grado di programmare o pianificare il proprio futuro ma al contempo non è nemmeno in una condizione di grave indigenza.
Per la fascia grigia non ci sono ammortizzatori sociali né misure di sostegno dedicate, tantomeno la possibilità di accedere a una casa a prezzi contenuti. Vediamo così un aumento delle persone a rischio povertà ed esclusione sociale.
È doveroso combattere la povertà e le disuguaglianze al fine di ridare dignità alle persone.
Parlando di welfare è indispensabile adottare un nuovo punto di vista e porsi in una nuova prospettiva sociale e politica. A tal proposito è utile lavorare in un’ottica di “Generatività” attraverso interventi (personali e collettivi) socialmente orientati, creativi, connettivi, produttivi e responsabili, capaci di impattare positivamente sulle forme del produrre, dell’innovare, dell’abitare, del prendersi cura, dell’organizzare, dell’investire, immettendovi nuova vita.
La misurazione della Generatività e della qualità relazionale, basata sulla fraternità e sulla ricchezza di senso della vita sociale ed economica, ci permette di sviluppare proficue riflessioni sulla capacità di generare reddito e occupazione.
Attualmente il welfare riconosce e tenta di tutelare i diritti fondamentali, ma ancora non abbastanza per garantirli, né dopo di noi, né alle persone più povere.
È ora di rapportare i diritti ai doveri secondo il dettato costituzionale. La Costituzione definisce l’incontro tra doveri e diritti in modo solidale ed inclusivo, mentre oggi si scivola nell’assistenzialismo facendo prevalere modalità di protezione “individuale” senza responsabilità sociale. Ne risulta solamente un costo e non un investimento.
Come trasformare questa tendenza a perdere? Noi crediamo che non ci sia alternativa ad un welfare che collassa su se stesso; l’alternativa è quella di individuare risposte che siano di investimento e non solo prestazionali e di costo.
È giusto consumare risorse, sostenere il privato senza corrispettivo sociale? I diritti devono essere considerati diritti di comunità cioè rigenerare risorse a vantaggio di tutti.
È tempo di praticare azioni che colleghino la solidarietà alla giustizia sociale, azioni capaci di promuovere valore sociale. Serve un approccio diverso per un diverso utilizzo delle risorse: da costi ad investimenti, per un nuovo “Welfare generativo”, un aiuto che non crea dipendenza assistenziale ma che riconosce e valorizza capacità e dignità delle persone con un evidente vantaggio per il benessere individuale e di tutta la comunità.
Alcune strategie di utilizzo delle risorse, (es: assegni familiari, indennità di accompagnamento…) vedono uno scarso rendimento dal punto di vista dei diritti, perché una parte di queste va a persone che non ne hanno bisogno, indistintamente rispetto al reddito; le persone ricche ricevono le stesse misure delle persone povere.
Queste risorse si potrebbero trasformare in servizi accessibili a chi ne ha necessità, creando, per chi non ne ha bisogno, un credito da far valere ad hoc.
Inoltre si deve tener conto del fatto che la redistribuzione attuale penalizza anche le nuove generazioni.
Come fare? Si vedono già i risultati di esperienze di piccoli sistemi territoriali di welfare generativo, di pratiche redistributive, capaci di moltiplicare il valore economico ed umano, di prefigurare scenari di dignità del lavoro e di cura dei diritti e dei doveri di tutti.
Abbiamo individuato alcune azioni sperimentate con successo da adottare a livello locale, particolarmente indicate anche per coinvolgere le persone che si trovano nel limbo della “fascia grigia”:
- Il lavoro a rendimento sociale, nelle molteplici forme di utilità già sperimentate. Si potrebbero così trasformare gli ammortizzatori sociali, i sussidi, con altrettanto lavoro sociale.
- Il micro credito che garantisce competenze, capacità e fiducia alle persone a cui non è riconosciuta capacità patrimoniale. Esso prevede, per chi può restituire, di farlo, e lo libera dal ruolo di “assistito”.
- Gli empori solidali, che costruiscono azioni di comunità e scambi virtuosi non sul baratto, ma sulle capacità e la dignità degli individui.
Il complesso sistema dei nostri servizi di assistenza fonda le sue radici nel 1973, quando, anticipando la Legge Basaglia, iniziò lo smantellamento dell’Ospedale-Ricovero San Giovanni, la struttura psichiatrica del Comune di Persiceto.
Il superamento dell’Ospedale-Ricovero è riconosciuto come esperienza unica ed esemplare nel panorama della psichiatria italiana.
Il reinserimento delle persone ricoverate nella comunità ha portato alla nascita del Welfare nei quattro comuni dell’allora “Consorzio Socio-Sanitario”, fondando i servizi che tuttora rendono possibile il mantenimento sul territorio delle persone fragili, anziane, con handicap o con disturbi psichici.
Oggi il sistema è in grado di offrire risposte articolate e di alto livello, ma può essere efficacemente rafforzato al fine di soddisfare le attuali esigenze in determinati ambiti, per il benessere degli assistiti e per la qualità della vita delle loro famiglie:
- serve un progetto forte, che comprenda spazi adeguati e operatori specializzati per sostenere efficacemente le persone adulte, sempre più numerose, che soffrono di sindrome autistica;
- è necessario affrontare il “Dopo di noi” creando nuove strutture di accoglienza e iniziando a lavorare con le famiglie per introdurre il concetto del “Durante noi”;
- bisogna offrire sostegno alla domiciliarità e alla semi-residenzialità (centri diurni e socio ricreativi) e dei posti di sollievo per la non autosufficienza;
- è necessario un potenziamento del caffè alzheimer e dei gruppi di auto mutuo aiuto per i familiari;
- incentivare la cura del benessere sociale e della qualità del tempo libero, in particolare per gli adolescenti e giovani adulti fragili (come sperimentato con successo in varie attività sportive e con la discoteca pomeridiana al circolo Bunker di Decima);
- favorire l’emersione del lavoro di cura regolare con l’apertura di uno sportello per assistenti familiari (note come Badanti) rivolto alle famiglie e con percorsi professionalizzanti per le assistenti;
- la popolazione ha mediamente una età sempre più alta e, di conseguenza, anche le situazioni familiari e sociali cambiano notevolmente. Per questo vorremmo parlare di due figure nuove: il Caregiver familiare e l’Assistente di comunità.
Il Caregiver familiare è colui che si prende cura, che assiste e supporta il proprio caro, generalmente anziano, nei momenti di malattia e di difficoltà.
L’Assistente di Comunità può essere di aiuto nelle situazioni meno gravi (gestite a domicilio) ma che hanno bisogno comunque di un sostegno. Non tutti possono permettersi questo tipo di aiuto e non tutti hanno bisogno di un’attività continuativa.
L’Assistente di comunità sarebbe quindi di aiuto in entrambi i casi secondo le parziali necessità dei vari utenti. Il servizio verrebbe coordinato dall’amministrazione in base alle necessità delle persone e di determinati parametri di accesso.
Il Caregiver non ha ancora dei riconoscimenti istituzionali anche se svolge un lavoro importante, colmando lacune del sistema pubblico. Sarebbe giusto riconoscere a queste figure il loro impegnativo ruolo tramite aiuti sia materiali che immateriali.
L’istituzione dell’Assistente di comunità potrebbe assolvere alla parte immateriale, liberando del tempo per i Caregiver.